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Alcune note su Tute, traumi e traditori di classe, il secondo libro di D. Hunter

16/05/2022


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Ecco, quando leggi le storie di D. Hunter hai la netta sensazione che riguardino tutto ciò che non rientra nel discorso degli intellettuali appiattiti sul pensiero dominante, quelli che trovi sul giornale o in tv.

Perché Hunter a ogni pagina ti spinge la faccia a un millimetro dalle situazioni e dalle persone, e senza bisogno di parlare (superficialmente) dei massimi sistemi ti manda a sbattere contro l’analisi materialistica della realtà. Per ogni personaggio della sua storia – sua letteralmente, oltre che letterariamente –, anche per quello più rovinato e incattivito dalla vita, quello dal quale lui stesso ha subito violenze e umiliazioni, Hunter ha una descrizione folgorante. Questo non significa soltanto vedere in una madre “snaturata” o in un padre violento e razzista le prime vittime del patriarcato, del sessismo e del capitalismo, che li condanna a essere ciò che sono, ma soprattutto rivendicare e restituire la complessità di un’intera classe sociale. Quella dei coatti, dei border line, della “feccia” del regno, in lotta per la salvezza e l’emancipazione. Quella a cui Hunter sente di appartenere e per la quale rivendica una soggettività, proprio a partire dalla dimensione del racconto, sottraendola alla morsa tra condanna e compassione, buona per le campagne elettorali.
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