Americana di Elio Vittorini
07/07/2023

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L’Americana non era infatti una raccolta di autori, ma rappresentava quel viaggio mai fatto da Pavese e Vittorini: America siderale, l’America nel tempo dell’America, degli emigranti e del ferro. L’America di Faulkner: un po’ vittoria un po’ delusione, un po’ leggenda (Whitman) un po’ contraddizione (Hawthorne). Del resto – e questo forse Cecchi lo aveva capito – da “una civiltà che ha come postulato supremo il benessere era ovvio potesse nascere soltanto un’arte di disillusioni”. E, infatti, l’Americana è anche disillusione: una confessione durissima, più terribile della Medea e del Re Lear. Non è allora vero che una raccolta di testi stranieri, resi “attraverso una traduzione d’arte”, possa acclimatarsi perdendo “le accidentalità e i veleni esotici”. Pure nelle lingue imperfette in cui è riportata dai suoi traduttori l’Americana è velenosa, è davvero – forse – il superamento della letteratura ermetica (come bene coglie Pavese).
Dobbiamo immaginarli: un gruppo di giovani prende a tradurre quanto fatto al di là dell’Atlantico, scoprendo non “un nuovo inizio della storia” ma il teatro in cui, “con maggior franchezza, veniva recitato il dramma di tutti”. È in questo senso che il libro diviene, più che un’opera antologica, un romanzo unico; solo corredato dalle note di Vittorini, dai suoi astratti furori.
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