Bobby Fischer e la “sfida del secolo”: La Mossa del Matto di Alessandro Barbaglia
05/12/2022

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In Unione Sovietica gli scacchi sono una cosa seria, non solo perché dopo la Rivoluzione d’Ottobre Lenin ne promosse – attraverso uno dei suoi piani quinquennali – lo sviluppo per le masse, ma soprattutto perché nella seconda metà del Novecento gli scacchi andavano ad inspessire quel blocco culturale russo – segretamente invidiato dall’Occidente – che nel secolo precedente era stato appannaggio della letteratura e della sinfonia. Campioni di scacchi come Boris Spasskij erano personaggi rispettati e venerati in patria, fondamentali biglietti da visita che il partito esibiva al Mondo per dimostrare la propria – presunta – supremazia culturale.
Dall’altra parte, Bobby Fischer era la scheggia impazzita, il non prevedibile, un oscuro talento che si era fatto da sé: aveva imparato a giocare da solo a sette anni leggendo il foglietto delle regole contenuto nella brutta scacchiera che la madre gli aveva regalato. Da quel giorno la sua vita divennero gli scacchi, o meglio, gli scacchi diventarono il suo rifugio dal mondo esterno.
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