Cannes 2023. Recensione: RAPITO, un film di Marco Bellocchio
26/05/2023

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Una storia enorme, già di suo perfettamente cinematografabile. Che molto svela dell’Italia, dell’intolleranza verso gli ebrei, del totalitarismo ideologico della Chiesa, della sua assoluta, dogmatica pretesa di dominio sulle coscienze. Bellocchio si inoltra lungo questa narrazione con l’impeto di sempre, con la rabbia, con qei pugni in tasca pronti a sferrare l’attacco, anche adesso a 83 anni. Rapito è un corpo a corpo da lui ingaggiato con l’istituzione cattolica vista come fabbrica di fanatismo e violenza. Ma stavolta, più che in altri sui lavori, la polemica contro la Chiesa si trasforma in ossessione, furia parossistica che si ingoia tutto il film: l’antipapismo e il mangiapretismo diventano il vero asse attorno al quale narrazione, rappresentazione, messinscena ruotano. Viene da pensare che il rapimento del povero Edgardo Mortara altro non sia che il pretesto e l’innesco per l’ennesima sarabanda bellocchiana, tra il grottesco e il laido con ampio ricorso alla corporalità (corpi di volta in volta compressi, oppressi, torturati, esplosi, feriti), contro la Chiesa di Roma.
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