Cinque libri: Federico Novaro

28/04/2022


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Anche io come credo voi ho momenti che si sono cristallizzati molati dal continuo ricordare e a cui siamo legati perché li abbiamo visti fermarsi e diventare ricordo nel momento in cui accadevano e non dopo, negli anni; uno di questi mi vede liceale all’Artistico di Torino, inizio dell’anno, seconda; una vecchia struttura ottocentesca, le aule una dentro l’altra e le mandrie di studenti che passano al cambio dell’ora da un’aula all’altra; io passo, si faceva lezione di italiano; la professoressa spiega Gita al faro di Woolf alla luce dell’ultimo capitolo di Mimesis, di Auerbach. Mi fermai in quell’aula e di nascosto ho aggiunto il mio nome al registro all’intervallo e presi a seguire le lezioni di quella sezione, così risultai sempre assente da una parte e un errore dall’altra. In primavera lasciai la scuola, d’altra parte risultava io non ci fossi mai andato.

Di Gita al faro strappo la pagina del lembo di stoffa che nel silenzio e nell’assenza cede alla gravità e al tempo “Se non che una volta un asse si sconnesse dal pianerottolo, e una volta, nel cuor della notte, con un rombo, uno scoppio come di masso che, dopo secoli di sommissione, si schianti dal monte e precipiti rovinoso a valle, una piega dello scialle si sciolse e dondolò”. Era la versione di Giulia Celenza per Garzanti.
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Fonte: SignorinaLave
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