Considerazioni su David Foster Wallace come scrittore notturno
24/10/2022

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Gli scrittori notturni hanno una premonizione straordinariamente accurata del loro destino che, con la loro opera, provvedono a svelare a se stessi.
Quello di David Foster Wallace è uno dei casi più tristemente affascinanti nel panorama della letteratura contemporanea, e confesso di essermici appassionato come il detective del classico romanzo poliziesco che continua a tornare sulla scena del delitto (benché, come tutti sanno, qui non ci sia alcun giallo: Wallace, dopo una lunghissima e sfibrante depressione, si è impiccato). Anni fa, mentre cercavo un’idea per un ulteriore racconto da aggiungere nella seconda edizione della mia antologia Io odio John Updike – o meglio, lavorando attorno a un’idea che, venuta da sé, mi sembrava adeguata a essere sviluppata in un nuovo racconto, ebbi la netta, irrefutabile sensazione di capire perfettamente perché David Foster Wallace si fosse suicidato; la sensazione si stabilizzò in questo pensiero: Wallace si era impiccato perché era costretto a ridere; la sua annosa lotta con l’ironia, non meno di quella con il suo disturbo psichico, l’aveva logorato e sconfitto; l’ironia era necessaria per vivere, siamo costretti a essere ironici, altrimenti la tristezza ci uccide.
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