Di Stanze e Aperture
15/02/2023

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30 anni dopo i Massimo Volume, un altro Stanze. Un altro album dove parole e suono si uniscono in un altro modo, fuori dal seminato, ma in qualche maniera partendo comunque da territori comuni, in qualche modo lo scardinare la canzone. Affinità e divergenze? Citazioni ed omaggi o caso?
Emanuele: Indirettamente ci troviamo più o meno in territori comuni. La citazione diretta dei Massimo Volume è casuale, ma siamo stati sicuramente molto influenzati da altri artisti e gruppi tra rock, post-rock e spoken word (tipo Slint o Shipping News). Il tentativo di scardinare la canzone in realtà è a sua volta un po’ casuale. Quello che a noi interessa è in qualche modo creare canzoni che stiano in piedi sulle loro gambe, ma con il linguaggio che conosciamo, cioè musica elettroacustica, poesia e registrazione come metodo compositivo. Il contesto band, prove, suonare dal vivo senza un computer è per noi ancora piuttosto nuovo e in parte ancora estraneo.
Elisabetta: Per una volta il titolo ci è venuto in mente in modo spontaneo (scegliere quello per il primo album fu un parto!). Ci piaceva l’idea di usare una parola che avesse un significato in entrambi le lingue impiegate nell’album, ovverosia l’italiano e l’inglese. Stanze è innanzitutto un riferimento a una delle ossessioni portanti della nostra musica: l’intimità degli spazi chiusi, gli echi e le risonanze che si creano al loro interno, sia in senso emotivo che sonico. Ma “stanza” è anche un termine proprio della poesia – adottato in quell’accezione anche in lingua inglese – e quindi un riferimento alla nostra ossessione numero due.
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