Elogio della dissipazione. “I racconti” di Antonio Delfini
29/04/2022

Leggere i racconti di Antonio Delfini è un’esperienza totalizzante, destinata a rovesciare le solite rodate coordinate di lettura. Questo perché Delfini, suo malgrado, è uno scrittore atmosferico, la cui prosa effervescente e sottile, ai limiti dell’evanescenza, costringe il lettore ad entrare all’interno di un micromondo parallelo – la Modena degli anni Trenta –, dai confini storici e geografici precisi e ben delineati ma costantemente fantasmagorizzati dall’atto trasfigurante della scrittura, capace di superare le tangenze del testo per imporsi come scenario regale in cui letteratura e vita, immaginazione e storia si accavallano senza darsi la precedenza. Un po’ come per la Winesburg di Sherwood Anderson, ma senza un disegno compositivo che si intraveda collaudato al fondo e senza alcuna sospirata retorica sulla segreta bellezza della quotidianità e delle piccole cose, Delfini tratteggia (non ricostruisce) il mosaico sfalsato di una città a metà tra reale e fantasia (è sempre M***, mai Modena), unico luogo da cui è possibile fuggire, unico luogo in cui è possibile tornare, sdoppiati e divisi. La mente creativa di Delfini non riesce mai ad allontanarsi dai suoi luoghi, la piazza, i portici, i bar aperti fino a tarda notte, la villa in centro (venduta poi a seguito dei dissesti finanziari); in questi luoghi la lingua trova la sua scaturigine primigenia, in questi ambienti il perimetro delle sue avventure narrative scopre una salvifica aderenza.
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