La scrittura o la vita. Intervista non autorizzata a Perale

25/05/2023


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[16:50, 14/5/2023] Giuseppe:
Ecco, se dovessi farti un’intervista, ti chiederei sicuramente di parlarmi del tuo lavoro, dei tuoi lavori, e del ruolo che in parallelo ha avuto la scrittura. Ricordo in metro, dopo la serata al Colibrì, che avevi fatto un discorso che mi aveva colpito molto, e avevi raccontato cose di te che non immaginavo. Se ti facessi questa domanda, cosa racconteresti?

18:09, 14/5/2023] Gianmarco Perale: Quando ero più giovane passavo le mattine a scrivere e i pomeriggi a leggere. Tutti i giorni, domenica compresa. Tutti i giorni, anche a Natale, finché alle 18:00 non andavo al lavoro. Ho fatto qualsiasi cosa (non abbandonando mai la ristorazione). Dalle fabbriche ai call center. Lavori porta a porta. Ho rubato, dormito per strada o nei locali in cui lavoravo quando ero senza soldi o senza casa. Sognavo di entrare nella letteratura e che così facendo sarei finalmente stato felice. I lavori che facevo mi rattristavano. Mi sentivo umiliato e fallito. Avevo studiato Teatro in Accademia, e fu un percorso che non mi aveva condotto a niente. Incompreso dai docenti ed emarginato dai compagni per il mio modo di vedere il mondo. Le mie idee erano giudicate inconcludenti, nella maggior parte dei casi incomprensibili, non accademiche. Nessuno puntava su di me. Mangiavo da solo. Non volevo essere un attore e neanche un regista e neanche uno sceneggiatore. Non sapevo cosa volevo essere, ma sapevo che dovevo scrivere. Ne avevo bisogno. Leggevo e scrivevo tutti i giorni. Sentivo di essere uno scrittore. Lo sapevo. Lo sapevo. L’ho sempre saputo.
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Fonte: Il rifugio dell'ircocervo
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