L’assassinio del Rayo Vallecano
13/02/2022

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Quella del Rayo è un’identità che travalica lo sport: a fronte dei magri risultati della sua storia, ha club di sostenitori sparsi in tutto il mondo, persone che magari non sono nemmeno mai state a Vallecas ma conoscono cosa vuol dire quel nome. Un qualcosa che va al di là del folklore, perché i Bukaneros – il gruppo ultras antirazzista e antifascista che ne anima la curva, attivo dal 1992 – costruisce legami che abbracciano tutto il quartiere, ben oltre i confini dello stadio. Nel 2014, per fare un esempio, organizzarono una raccolta fondi – sponsorizzata anche da striscioni dentro il Campo de Fútbol de Vallecas, e supportata anche da alcuni giocatori della prima squadra, come Antonio Amaya – per aiutare la 85enne Carmen Martínez a pagare l’affitto della sua casa, prima che venisse sfrattata e gettata in mezzo a una strada.
Non serve aggiungere altro perché, probabilmente, cosa rappresenti il Rayo Vallecano lo sapete già. Ecco perché è veramente doloroso annunciare che oggi il Rayo è morto. Ma come? – direte voi – fino a qualche giorno fa l’ho visto, e stava benone. L’avete probabilmente visto veleggiare al nono posto della Liga, a una posizione dal miglior piazzamento della sua storia, ma non vi siete accorti che era solo un fantasma, un impostore, un simulacro. Il Rayo Vallecano è stato assassinato, e questa è la storia del suo brutale omicidio.
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