L’esplosione del futuro: intervista ad Alessandro Busi
11/02/2022

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All’inizio del romanzo l’ossessione per gli attentati sembra una prerogativa di Luca: il lettore ha la sensazione di trovarsi di fronte a un narratore disturbato, solo dopo le prime pagine realizza che la sua paura è motivata da una situazione effettivamente emergenziale. Perché la scelta degli attentati come espediente narrativo?
È una scelta legata a quello che per me e la mia generazione ha rappresentato l’11 settembre. Nel 2001 avevo sedici anni ed è stato un anno pieno di scossoni. Per prima cosa il G8 di Genova: scoprivamo che era possibile essere ammazzati per essere scesi in piazza. Questa situazione era assurda per noi, figli del pensiero da “fine della storia” tipico degli anni Novanta: il Muro è caduto, la Guerra Fredda è finita, c’è il capitalismo e da ora in poi non ci saranno più scossoni. Invece non era vero e la caduta delle Torri Gemelle ha definitivamente segnato un prima e un dopo. Prendere un aereo non era più banale, viaggiare non era più facile. In questo senso gli attentati hanno fatto da spartiacque, e per un personaggio come Luca era inevitabile esserne ossessionato. Entra poi in gioco anche il mio interesse personale: mi incuriosisce molto il pensiero delle vite singole dentro questi grandi eventi.
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