Liguriana

24/07/2023


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Era novembre e a maggio ero ancora soldato. Verso la fine del mese di maggio mi chiusero un paio di giorni in una cella nel carcere militare di Peschiera del Garda, poi mi ricoverarono nell’Ospedale militare di Baggio, reparto neuro. Quando giunsi a casa con una convalescenza di dieci giorni per gravi stati d’ansia e crisi depressive mio padre respirava con l’ossigeno, non gli parlai mai più. Morì dopo alcuni giorni. Io ero ancora soldato, ma ora non c’era fretta. Ricevetti altri giorni di convalescenza, me li davano nel reparto neuro dell’Ospedale militare di Sturla. Tornato in caserma, il giorno prima di ritirare il congedo, o il giorno prima ancora, una di quelle sere lì, comunque, uscii dal cancello e non rientrai mai più in quella caserma. Me ne andai anche dall’Italia, temendo che mi avrebbero cercato, lasciai l’Italia e mi fermai in Costa Brava e quando cominciò il freddo raggiunsi le isole calde, di fronte alla costa africana. E così, ancora oggi, ogni volta che torno in Italia mi sembra di farlo da clandestino e quando me ne vado ho l’impressione di disertare di nuovo come la prima volta. Questo scritto sta prendendo un po’ troppo una piega affollata di io e di Calvino e Biamonti non dico più nulla. È che se mi si chiede di commentare il mio paesaggio estremo, queste foto, un paesaggio senza io non va oltre la cartolina. Siamo davvero cosa vediamo? Eppure un libro su Calvino e Biamonti e su di me non può che essere un libro sbilenco. Il paesaggio ligure di Biamonti – non ne conosco altri di suoi se non quello adriatico dell’Attesa sul mare, o il paesaggio della Provenza, che però assomiglia alla Liguria – è un invito a estrapolare il mare dal mare e incollarne il senso alle rocce, alle foglie, per dire che le cose in Liguria hanno quel tormento lì. Il paesaggio ligure di Calvino, specie quello di un libro dell’ultima parte della sua vita come La strada di San Giovanni, lo sento ben più vicino; del resto, che sciocchezza, la campagna di San Giovanni sta esattamente a metà strada tra la rupe di Biamonti e il mio carruggio di Prelà. Cosa abbiamo in comune tutti e tre? A parte il fatto che abbiamo ereditato della terra e siamo stati figli di padri che «andavano in campagna» e ci chiedevano di seguirli per dar loro una mano, c’è in comune ben poco. Abbiamo dunque in comune il senso di colpa per non aver quasi mai dato una mano ai nostri padri in campagna? C’è questo e poco altro in comune?
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Fonte: Nazione Indiana
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