Orazio Labbate e la Clavicula horroris
16/12/2022

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Dunque ecco analizzati Landolfi, Le più belle pagine scelte da Italo Calvino (“Si legge di un orrido psicologico, di una spremitura di divagazioni nella tragedia di una mente consimile a quella di un monaco intento a disegnare, nottetempo, impazzite miniature medievali”); Moresco, Gli esordi (“spezza la cornice del romanzo didatticamente sensibile, di mera fedeltà letterale, poiché suscita estasi e orrore dei sensi. Non permette che tali moti si sperdano in un sentimento indeterminato o fantastico, li eleva a simboli metaforici della morte umana”); Tonon, Il nemico (“scritto, potremmo affermare, da un dolciniano contemporaneo piuttosto che da un chierico istituzionale”); Pierantozzi, Uno in diviso (“Il supporto biblico, l’amuleto tatuato, in Pierantozzi è quindi un’occasione narrativa, una spinta secca per lordare il simbolismo religioso grazie al raptus delle visioni veraci tipiche di un santo durante il martirio”); Genna, Italia De Profundis (“Per effettuare questo racconto Genna deve per forza usare una lingua poetica, massimalista – direi spesso oltranzista –, che tocca con piacere il cut-up burroughsiano, in species quello di Nova Express e I ragazzi selvaggi”); Jaeggy, Le statue d’acqua (“L’orrore letterario si compie soprattutto nello stile, che mostra uno strano collegamento fra dolcezza e perturbante”); Bufalino, Le menzogne della notte (“Sentirsi il Diavolo, quindi esserlo, invocarlo al meglio, per esserlo. Non attraverso un nobile e borghese senso pirandelliano, ma in senso ontologico e dell’orrore”).
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