#PremioBg22 – “Storia aperta” di Davide Orecchio
23/03/2022

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Non è semplice condensare in poche righe il contenuto di questo romanzo, in cui peraltro le 85 pagine di Materiali valgono quanto, se non più delle 570 pagine precedenti. Ma forse non è neanche necessario. Basterà dire che la vita di Pietro Migliorisi lo vede protagonista di un’infatuazione precoce per il fascismo, che lo spingerà addirittura ad arruolarsi volontario nella campagna imperialista d’Etiopia, da cui tornerà però turbato, al punto da avvicinarsi – grazie alla mediazione di Felice Chilanti – a quelle frange critiche del regime che oggi sintetizziamo con il termine di “fascismo di sinistra”. Per il regime però continua a combattere, nella sua Sicilia e poi in Grecia, sul Monte Tomori; poi sarà al confino a Ventotene e addirittura partigiano comunista nella Roma occupata dai tedeschi, mentre la moglie Michela, in Sicilia con il figlio Vasco, matura un distacco dal marito che è ideologico, prima ancora che affettivo. La guerra è il momento delle sliding doors di Migliorisi: qui avrebbe potuto diventare Pietro il nero o Pietro il rosso, due parabole alternative e opposte che Orecchio tratteggia brevemente, ma che sono entrambe, paradossalmente, sbagliate. Perché la guerra consegna un Pietro “rosso a metà”, costretto a combattere contro le ombre del suo passato («E devo uccidere il mio fascismo, ora o mai più, ora o mai più, ora o mai più devo ucciderlo») che alimentano la diffidenza dei compagni del PCI, nonostante il lasciapassare offerto nientemeno che dal padre del partito, Palmiro Togliatti.
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