Sold out atipici a Milano: tra Zen, leggende serbe ed Inner Spaces
13/03/2023

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Ma dicevamo di Abul Mogard aka Guido Zen: la prima cosa da sfatare, è la divertente narrazione “costruita” attorno a questo progetto. Qualcuno di voi, più abituato a perlustrare i mari dell’elettronica di ricerca, si sarà imbattuto in questa bizzarra storia del pensionato serbo, di Belgrado, che improvvisamente scopre la musica elettronica e con strumenti autocostruiti – perfetto “riscatto” rispetto alla sua vita lavorativa ed all’alienazione industriale – crea un mondo tutto suo, molto particolare. Qualcuno c’avrà anche creduto (pochi, ma qualcuno c’ha creduto; lì dove lo stesso Zen dice “Io ero sicuro non ci avrebbe creduto nessuno. E invece…”). Il punto non è se la cosa sia vera o meno, perché non lo è: il punto è la voglia di creare un contesto, un colore (narrativo, in questo caso) in più. E’ questo a rendere la musica di Guido Zen più intensa di altre, più interessante di altre. E’ questa attitudine. Peraltro: gli strumenti se li costruisce e se li modifica da solo, questo sì.
“Che poi, la roba divertente è che quando andai a suonare a Belgrado uno dei dj che doveva suonare prima di me era un fan delle robe di Mogard. Ad un certo punto gli dissi: ‘Guarda che sono io, sono io che mi sono finto un pensionato di Belgrado’. Lui, invece di incazzarsi, era divertitissimo dalla cosa e contento anzi che avessi scelto proprio Belgrado per questa narrazione. Una città che in origine avevo scelto a caso, forse perché faceva esotico, chiamava in campo la suggestione da Cortina di Ferro, cose così, comunicando però un’idea di grande vitalità. Tra l’altro è il primo posto dove mi sono esibito senza la protezione di un telo davanti, che per anni ho usato nei miei spettacoli dal vivo: era al Drugstore”.
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