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Un estratto da “Sottomessa non si nasce, lo si diventa” di Manon Garcia

20/09/2023


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Per capire la differenza fondamentale tra lo studio della sottomissione delle donne e l’ipotesi dell’eterno femminino, cioè di una natura femminile sottomessa, possiamo rivolgerci alla linguistica e alla filosofia del linguaggio. Occorre infatti distinguere due tipi di enunciati: quelli dei difensori di una natura eterna delle donne che dicono “le donne sono sottomesse”, e quelli che dicono “alcune donne sono sottomesse” o “alcune donne scelgono la sottomissione”. Nel primo caso, nell’usare un articolo determinativo a cui i linguisti attribuiscono valore generico (“le” donne, il quale implica tutte le donne o almeno le donne normali), si mettono tutte le donne nello stesso calderone, quello di una naturale sottomissione che le accomunerebbe appunto in quanto donne. Nel secondo caso, nessuna ipotesi viene enunciata riguardo alla natura o alla norma della femminilità, ma si dà peso ad alcune esperienze o alcune forme di vita singolari. Non affermiamo che tale sottomissione sia buona, cattiva, auspicabile o normale, ma soltanto che alcune donne, forse tante, forse poche, vivono in una situazione di sottomissione. Mentre il primo enunciato ha una dimensione normativa, gli altri due sono puramente descrittivi. Studiare la sottomissione delle donne è un’impresa femminista perché consiste nel descrivere un’esperienza vissuta dalle donne senza però considerarla come assoluta, naturale e necessaria per essere donna.

In definitiva, è un’impresa femminista perché adotta il punto di vista delle donne stesse come punto di partenza dell’analisi. Dopo il caso Weinstein, il mondo si è diviso più o meno in due parti: coloro che pensano che la società sia strutturata dalla dominazione esercitata dagli uomini sulle donne, e coloro che pensano che questa non esista oppure non sia, in fondo, così grave.
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Fonte: minima&moralia
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